Lavoro femminile tra manifattura e commercio nella Trieste del XVIII secolo
A Trieste il lavoro femminile costituiva buona parte del variegato mondo del lavoro che durante il XVIII secolo contribuì alla crescita della città e del suo porto il quale, nel corso di poche decine di anni, divenne uno dei grandi empori mediterranei. Sebbene le fonti non rivelino un loro coinvolgimento diretto nella navigazione, le donne erano impegnate in molti settori connessi al mondo dei commerci e dei traffici marittimi. Esse lavoravano, ad esempio, alla costruzione delle infrastrutture portuali e alla produzione delle attrezzature necessarie per armare le navi e di prodotti strategici per i flussi commerciali. Lavoratrici come Mariuza Talich e Antonia Calich, la cui occupazioni era quella di trasportare, con carri, le pietre impiegate nella costruzione dei moli o come le settanta filatrici impiegate, negli anni ’60 del ‘700, nella veleria dei fratelli Buzzini. Nella seconda metà del secolo il rosolio era diventato una delle principali merci di esportazione. In città furono attive più di venti distillerie che arrivarono ad esportare ogni anno molte centinaia di migliaia di fischi, impagliati da mano d’opera per lo più femminile. Tale attività si era radicata in città attorno agli anni Cinquanta. Aggirando le norme che favorivano l’acquisto di vetro prodotto in Boemia (Monarchia asburgica), i mercanti di Trieste acquistavano i fiaschi a Murano (Repubblica di Venezia). Sempre dai domini della Serenissima – precisamente da Cavarzere – giungeva anche la paglia per rivestire i fiaschi. Inoltre, da Murano a Trieste arrivarono pure delle donne specializzate nell’impagliare i fiaschi, che in città si occupavano anche dell’addestramento di altre donne in quell’arte.
4.3.a
Un giovane porto
(L.F. Cassas, Trieste Harbour (1802), Victoria & Albert Museum)
4.3.b
Il Porto Franco e l’immigrazione
Con la dichiarazione del Porto Franco (1719), Trieste iniziò ad attrarre donne e uomini che venivano in città per valutare le occasioni di vita che essa offriva. Talvolta, questi rimanevano per sempre. Altre volte si fermavano per periodi più o meno lunghi, ma limitati. Così, Trieste si popolò di gente di diverso credo e lingua proveniente dall’entroterra, dal Levante, dalla Penisola Italiana, dai Balcani e dal resto d’Europa.
(V. Coronelli, Mediterraneo (1693), DRHMC-SU)
(J. Blaeu, Patria del Frivli olim Forvm Ivlii (1665), DRHMC-SU)
(J. Blaeu, Istria olim Iapidia (1665), DRHMC-SU)
4.3.c
Una giovane istriana
(J. Grasset de Saint-Sauveur, Femme de l’Istrie (1787), WDPC-NYPL – Digital Collections, ID 827333)
4.3.d
Filatrici a Trieste
(D. Andreozzi, Gli urti necessari, in Storia Economica e Sociale di Trieste, vol. 2)
4.3.e
Alla moda di Trieste
(Particolare di Nouvelles modes de 1797: Coiffure a la bonne fortune, Rijksmuseum, via Europeana)
4.3.f
Fiaschi di rosolio
Ad una maggiore diffusione dello zucchero raffinato a partire da metà XVII secolo, specialmente nella penisola italiana seguì una maggiore produzione di rosolio. Nella seconda metà del XVIII secolo, Trieste aveva numerose distillerie che producevano rosolio, in modo particolare per il mercato estero.
(L. Baugin, Le dessert de gaufrettes (c. 1630), Musée du Louvre, via Wikimedia Commons)
(D. Andreozzi, Gli urti necessari, in Storia Economica e Sociale di Trieste, vol. 2)
(Collezione Dino Cafagna)
4.3.g
Una venditrice ambulante (venderigola)
(M. Stifter, Marktszene in Triest, 1889)